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Abitare anziano: un nuovo paradigma per la casa pubblica
Viviamo un’epoca in cui la parola “casa” non può più limitarsi a indicare quattro mura. Oggi di fronte a una popolazione che invecchia rapidamente, la casa diventa luogo di cura, di relazioni, di comunità. È da questa consapevolezza che è partito il seminario “Abitare anziano negli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP)”, organizzato da ACER Bologna e AUSER e ospitato lo scorso 14 ottobre alla Biblioteca Minguzzi. Un incontro che ha messo al centro una domanda cruciale: come può l’edilizia pubblica accompagnare la vita e il benessere delle persone nella terza e quarta età?
L’invecchiamento della popolazione non è più una previsione, ma un dato di realtà. Nella Città Metropolitana di Bologna gli over 65 rappresentano ormai oltre il 40% degli assegnatari ERP, e la quota di ultraottantacinquenni continua a crescere. Questi numeri parlano chiaro: non si tratta solo di gestire un patrimonio immobiliare, ma di ripensare un intero sistema di welfare.
Il presidente di ACER Bologna, Marco Bertuzzi, lo ha affermato con chiarezza: è necessario un “salto di qualità” nell’approccio, spostando l’attenzione dai palazzi alle persone. Una visione lungimirante che, come ha sottolineato Piergiacomo Braga, responsabile URP di ACER Bologna, rappresenta un elemento raro nel panorama nazionale, dove il tema dell’abitare anziano è ancora troppo spesso sottovalutato. Bologna, in questo senso, sta dimostrando che un diverso modo di intendere la casa pubblica è possibile: non più solo politica di accesso all’alloggio, ma politica dell’abitare come spazio relazionale, dove le persone possono agire, partecipare e avere voce nelle scelte che le riguardano.
[N.d.A. Piergiacomo Braga ha dedicato un libro al tema delle case popolari come luoghi di relazione e comunità. Invitiamo a visitare il sito www.casepopolari.net, dove sono raccolti articoli, video e interviste che approfondiscono questo approccio innovativo all’abitare pubblico.]
L’abitare anziano richiede dunque una visione nuova rispetto alla storia tradizionale dell’edilizia pubblica: un processo di innovazione culturale e gestionale che Bologna, insieme ad altri attori sociali, sta già sperimentando con coraggio.
Le barriere non sono solo architettoniche. Molti anziani vivono in case che, con il passare del tempo, si trasformano in luoghi di isolamento. Dopo la pandemia, la solitudine è diventata un’emergenza silenziosa. Per questo la casa deve tornare a essere un luogo vivo, in cui ci si incontra, ci si aiuta, ci si riconosce. Sara Accorsi, Consigliera delegata alle politiche abitative della Città Metropolitana, richiamando i dati demografici della città metropolitana, ha ricordato come la crescita della popolazione anziana imponga una riflessione ampia: non solo sulla rimozione delle barriere fisiche, ma anche sulla capacità delle amministrazioni pubbliche di garantire nuovi servizi adeguati ai bisogni che cambiano. Così come invecchia il patrimonio ERP, cambiano anche le persone che lo abitano, e politiche statiche rischiano di non essere più rispondenti alle loro esigenze.
Esperienze come il microprogetto AUSER–ACER di via Albani, a Bologna, mostrano quanto sia potente il valore degli “spazi comuni”: una semplice sala condominiale riaperta può diventare un laboratorio di relazioni, un antidoto alla solitudine. Iniziative simili, nate dal basso, hanno permesso di trasformare inquilini diffidenti in protagonisti attivi, capaci di costruire insieme nuovi legami di vicinato.
Allo stesso modo, la sperimentazione di ACER Ferrara con sensori domestici per monitorare sicurezza e benessere degli anziani soli racconta un’altra faccia dell’innovazione: la tecnologia che si mette al servizio della vita quotidiana, non come controllo, ma come cura discreta e intelligente.
Una delle sfide più complesse emerse dal seminario riguarda la frammentazione delle politiche: abitare, sanità e servizi sociali troppo spesso procedono su binari paralleli. Eppure, come è stato ricordato, la casa è “welfare materiale”: un elemento strutturale del benessere, non solo lo sfondo degli interventi di cura.
Serve una governance integrata che riunisca in modo stabile ACER, Comuni, Aziende sanitarie e Terzo settore, superando quella distanza tra patrimonio e comunità che oggi penalizza i più fragili.
Nel dibattito è emersa una convinzione condivisa: l’edilizia residenziale pubblica può diventare un laboratorio di innovazione sociale, un campo di sperimentazione per nuovi modelli di abitare gestito e comunitario. Con i suoi quartieri concentrati e un’utenza specifica, l’ERP offre la possibilità di sperimentare servizi di prossimità, spese condivise, infermieri di comunità, esperienze che altrove sarebbero difficili da organizzare.
Guardando al futuro, le generazioni che invecchieranno avranno un rapporto diverso con la casa: meno legate alla “casa di famiglia” e più aperte al cambiamento, alla condivisione, alla mobilità. È un’occasione per ripensare anche le politiche pubbliche, orientandole non solo all’efficienza energetica ma al benessere umano.









